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Ecco i veri obiettivi della Legge sugli Stadi

Nuove case, mega centri commerciali e uffici realizzati con procedure speciali e soldi pubblici. Per Legambiente: “Un’ipocrisia parlare di europei di calcio e di miglioramento degli impianti. Al via la più grande speculazione urbanistica nelle città italiane dal Dopoguerra”. Un dossier da leggere per capire davvero cosa si nasconda dietro "il sogno dei tifosi".


E’ passata al Senato in modo stranamente silenzioso e riservato, aggirando così anche le potenziali modifiche delle Commissioni e dell’Aula, e si appresta ora ad approdare alla Camera come se fosse un disegno di legge ad hoc per gli stadi. Ma la verità è un’altra. Si tratta di un provvedimento dalla portata dirompente, che può dare il via a incredibili speculazioni immobiliari che nulla hanno a che fare con il calcio.

Delle “Disposizioni per favorire la costruzione e la ristrutturazione di impianti sportivi e stadi anche a sostegno della candidatura dell’Italia a manifestazioni sportive di rilievo europeo o internazionale”, si è parlato ieri a Roma, nel corso della conferenza stampa che si è tenuta nella sala stampa della Camera dei Deputati e alla quale hanno preso parte Vittorio Cogliati Dezza, presidente nazionale Legambiente, Lorenzo Parlati, presidente Legambiente Lazio, Edoardo Zanchini, responsabile urbanistica dell’associazione e i parlamentari Roberto Della Seta, capogruppo Commissione Ambiente del Senato, Fabio Granata, vice presidente Commissione Antimafia e Ermete Realacci, responsabile Ambiente del Partito Democratico.

“In questo disegno di Legge - ha dichiarato Vittorio Cogliati Dezza - non ci si occupa principalmente degli stadi come non ci si preoccupa delle reali esigenze dei tifosi. E’ evidente che con la scusa degli Europei di calcio, si stanno facendo passare scelte in cui a pesare sono soprattutto interessi immobiliari di tipo speculativo che devono essere fermati. Si parla di “complessi multifunzionali”, di provvedimenti speciali per semplificare le procedure di realizzazione saltando i controlli, di contributi pubblici a vantaggio di pochi privati, di possibili interventi in tutte le città, a prescindere dalle candidature. Tutte questioni evidentemente lontane dallo sport e dai progetti realizzati nel resto d’Europa”.

Nello specifico, risulta inquietante il fatto che questa legge sia stata approvata dalla Commissione Cultura del Senato, con voto all’unanimità da parte di tutti i gruppi parlamentari ed evitando il passaggio in Aula, pur trattandosi di un testo dai contenuti sicuramente difformi dalla normativa urbanistica vigente, e ben più inerenti ai temi propri delle Commissioni Ambiente e Lavori Pubblici che a quelli della Cultura.

Ma vediamo le varie stranezze punto per punto:

nelle definizioni all’articolo 2, il disegno di Legge chiarisce bene come gli interventi possibili siano di due tipi: quelli per costruire o ristrutturare complessi sportivi per renderli moderni, funzionali e attrezzarli con attività commerciali e culturali con musei delle squadre e tutto quello che oggi già vediamo negli impianti più moderni in Europa, e quelli che invece riguardano i cosiddetti “complessi multifunzionali”, vera invenzione del provvedimento, per cui insieme allo stadio si può costruire anche un nuovo quartiere, con attività commerciali, ricettive, di svago, culturali e di servizio, insediamenti residenziali o direzionali, da realizzarsi addirittura in aree non contigue allo stadio.



Ma chi può realizzare tali imprese? La società sportiva, una società di capitali dalla stessa controllata e perfino “soggetti pubblici o privati che al fine di effettuare investimenti sullo stadio o sul complesso multifunzionale, stipulino un accordo con la medesima società sportiva per la cessione alla stessa del complesso multifunzionale o del solo stadio”.

E tutto ciò con procedure davvero speciali: basta infatti presentare uno studio di fattibilità finanziario e ambientale per avviare l’approvazione del progetto; entro 60 giorni il Sindaco promuove un accordo di programma per approvare le necessarie varianti urbanistiche e addirittura per conseguire “l’effetto di dichiarazione di pubblica utilità e di indifferibilità e urgenza”, come se si trattasse di opere pubbliche, e il tutto da chiudersi entro 6 mesi. Ciò significa che ad alcuni soggetti privilegiati, i proprietari di squadre di calcio, è concesso qualcosa che a tutti gli altri cittadini è vietato perché va contro la Legge e l’interesse generale, e cioè scegliere, con il beneplacito del Comune e in accordo con altri proprietari di aree, di trasformare in edificabili aree che non lo sono, generando così un enorme guadagno che nulla ha a che fare con l’attività calcistica.


E per facilitare il tutto, sono previsti persino soldi pubblici, non solo per gli stadi ma persino per i “complessi multifunzionali”, per le case e gli uffici privati di quei pochi fortunati, attraverso un “piano triennale di intervento straordinario” che prevede la concessione di “contributi destinati all’abbattimento degli interessi sul conto capitale degli investimenti” (articolo 6) e potendo accedere alle agevolazioni e ai fondi erogati dall’Istituto per il Credito sportivo (articolo 7).

Interessi privati con procedure speciali. Per Legambiente la forzatura prevista nel disegno di Legge è a dir poco clamorosa. Ci troviamo di fronte ad una Legge ad personam, in questo caso legate al mondo del calcio a cui è concesso un potere che mai nell’ordinamento italiano è stato introdotto per alcun intervento urbanistico o edilizio, nemmeno per interventi di Protezione Civile. Anche per i Mondiali di calcio del 1990, si utilizzarono procedure speciali per gli interventi e alla fine la spesa fu molto superiore a quanto preventivato, molte attrezzature non furono realizzate e comunque la qualità generale si rivelò scadente. Eppure, quella vicenda rappresenta una barzelletta confronto a quanto potrebbe succedere con questo disegno di Legge.



Ristrutturare uno stadio e trasformare una parte di città con una semplice DIA? Assurdo? No, no: è previsto (articolo 6, comma 5) che “le opere di ristrutturazione degli stadi e di trasformazione in complessi multifunzionali” se conformi alle destinazioni d’uso previste dal Comune nell’accordo con il soggetto proponente possono essere realizzate con una semplice “denuncia di inizio attività”. Quella DIA, utilizzata normalmente per opere interne alle abitazioni o interventi chiaramente definiti dalla pianificazione vigente in cui il progettista autocertifica il rispetto delle norme. In questo caso però si userebbe per ristrutturare stadi di 40-50mila posti a sedere, costruire case e uffici. Con l’autocertificare del progettista. E la sicurezza? Quale paese civile, tanto più con caratteristiche di forte dissesto idrogeologico, potrebbe autorizzare una simile norma che mette a seriamente a rischio l’incolumità dei cittadini?

Allo stadio, ma solo con mezzi propri. Un tema centrale in tutti i progetti di stadi costruiti o ristrutturati in Europa in questi anni è quello dell’accessibilità tramite trasporto pubblico, in particolare metropolitane, in modo da consentire il flusso regolato di decine di migliaia di persone. Purtroppo questo tema è ignorato dal “nostro” disegno di Legge che tra i criteri a cui i progetti devono attenersi (articolo 5) cita l’equilibrio economico e finanziario, le migliori condizioni di visibilità, locali da adibire a palestre e funzioni commerciali e sociali, la massima sicurezza (però autocertificata con la DIA), la previsione di box o palchi per seguire le manifestazioni da posizione privilegiata, l’adattabilità alle riprese televisive, un sistema di telecamere a circuito chiuso… Nessun riferimento all’accessibilità su mezzi pubblici, con totale spregio delle conseguenze in termini di traffico e inquinamento per le aree urbane in cui sono previsti e togliendo ai tifosi italiani un diritto che vale in tutte le altre città europee e non solo.

Gli Europei di calcio con questo provvedimento c’entrano poco o nulla. Ci si aspetterebbe infatti, che il disegno di Legge fosse diretto a facilitare l’adeguamento degli impianti nelle città candidate a ospitare le partite. Invece no, possono usufruire di queste procedure tutti gli stadi da costruire o ristrutturare “di almeno 10.000 posti a sedere allo scoperto e 7.500 posti a sedere al coperto”. Quindi tutte le Società di Seria A e B possono candidarsi a realizzare uno o più interventi.

Altro che stadio del Bayern Monaco. Uno degli aspetti più incredibili del dibattito attualmente in corso nelle città italiane sugli stadi è il continuo riferimento alle esperienze di successo delle altre squadre europee e agli introiti resi possibili dalla costruzione di nuovi stadi. In particolare, ci si riferisce spesso allo stadio del Bayern Monaco.



Peccato che quella vicenda appaia lontana anni luce da questo disegno di Legge e dalle proposte in discussione nelle città italiane. L’Allianz Arena infatti, inaugurato nel 2005, è considerato un autentico gioiello di architettura e uno degli stadi più comodi e funzionali al mondo. L’iter per la realizzazione è cominciato nel 1997 quando il Consiglio di amministrazione della FC Bayern Monaco decise di realizzare un nuovo stadio.

La proposta aprì una discussione politica sulla necessità di realizzare un nuovo stadio dedicato al calcio nella città. Il Consiglio comunale deliberò di approfondire la questione e furono fissati i criteri per la scelta delle aree. Nel frattempo, le due società di calcio di Monaco (FC Bayern e TSV 1860) si consorziarono per la costruzione e gestione del nuovo stadio. Nel 2001, tra le cinque aree individuate come più adatte venne scelta l’area di Frottmaning, più idonea per l’accessibilità su ferro (la distanza tra l’ingresso dello stadio e la stazione metro è di 500 metri) e l’immediata vicinanza all’autostrada.

A quel punto, venne indetto un referendum tra i cittadini dove prevalse, con il 65% dei voti, una maggioranza favorevole alla realizzazione. Quindi venne bandito un concorso di architettura vinto dallo studio svizzero Herzog and DeMeuron. Nel 2002, terminata la fase di adeguamento della pianificazione urbanistica comunale e regionale, iniziarono i lavori che terminarono nel 2005. Le altre attività presenti nell’impianto sono di ristorazione e il merchandising delle squadre.

Nessun altro intervento è stato realizzato, né è stata prevista altra destinazione d’uso. L’area complessivamente occupata dall'intervento (svincoli, parcheggi e stazione della metro compresi) è di 14 ettari. E’ utile ricordare quindi che i progetti in discussione a Roma per gli stadi e i “complessi multifunzionali” proposti da Roma e Lazio riguarderebbero rispettivamente 150 e 600 ettari.

“Come si evince da questo documento – ha concluso Cogliati Dezza - tutto ciò c’entra pochissimo con il calcio e con i tifosi. L’obiettivo è ben altro che quello di migliorare la funzionalità degli stadi italiani. L’effetto reale di un tale disegno di Legge sul nostro Paese sarebbe pesantissimo: intere città ne risulterebbero sfigurate a totale vantaggio di alcuni speculatori immobiliari e delle società proprietarie delle squadre di calcio. Se a Roma, come a Firenze o Milano occorre ristrutturare gli impianti sportivi, occorre trovare il modo di procedere in modo trasparente e corretto, come avviene in tutti gli altri Paesi europei e non solo”.

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